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La ginestra

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La ginestra

La ginestra

La ginestra è un arbusto molto diffuso nella macchia mediterranea.
Si caratterizza per i suoi fiori: un’esplosione d’oro che ricopre l’intera pianta sia in primavera che in estate dal profumo delicato.
Ama intensamente il sole, ma sopporta bene anche il freddo.
Può essere usata come pianta ornamentale, particolarmente indicata nei giardini rocciosi, ma anche per il rimboschimento delle aree degradate e per il consolidamento delle zone, soprattutto nelle scarpate, possedendo una trama reticolare molto fitta e complessa.
I Greci e Romani coltivavano la pianta per attirare le api e favorire la produzione di miele pregiato; nei secoli, il fusto è stato lavorato per ottenere una fibra tessile utile soprattutto per il cordame da barca.
Alcune specie di ginestra vengono impiegate a scopo terapeutico per le molteplici proprietà che presenta.

La ginestra o Il fiore del deserto è la penultima opera lirica di Giacomo Leopardi, scritta nella primavera del 1836 a Torre del Greco e pubblicata postuma. Rappresenta il testamento letterario e spirituale del poeta.
A epigrafe del componimento, Leopardi colloca una citazione del Vangelo di Giovanni:
"E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce". Con questa citazione il poeta vuole sottolineare l'illusione dietro la quale si rifugiano gli uomini, le concezioni spiritualistiche ed ottimistiche, piuttosto che prendere consapevolezza della propria tragica condizione esistenziale.
La lirica si apre con la descrizione delle pendici del Vesuvio, un tempo territorio florido e ridente dove sorgevano ville, giardini e prospere città distrutte dalla spaventosa eruzione del 79 dc. Ora, Leopardi descrive il paesaggio desolato e privo di vegetazione rallegrato esclusivamente da un ginestra che, contenta di fiorire nel deserto vesuviano, con i suoi colori vivaci spezza la monotonia del paesaggio ed emana nell'aria un soave profumo addolcendo un po' la desolazione di quel luogo arido e solitario. La ginestra diventa l'interlocutrice del poeta e lo chiama " fior gentile" perché, pur essendo consapevole della propria delicatezza, resiste alle impervie condizioni del terreno. La Natura, identificata nella forza minacciosa del vulcano, è ostile all'uomo, genera infelicità, e nemmeno il progresso scientifico che così incisivamente caratterizzava i suoi tempi, così come i nostri, non permette all'uomo di affrancarsi dal dolore.
Leopardi ci porge, invece, la figura di un uomo magnanimo ed elevato di animo che non nasconde la propria fragilità e riconosce, con dignità, l'infelicità che caratterizza la condizione umana.
Con quale speranza?
Il poeta auspica che gli uomini si possano unire tra di loro per sostenersi reciprocamente nella lotta contro il vero nemico, la Natura matrigna, identificando, nella forza dell'incontro e nella solidarietà umana l'unica forma di progresso.
L'uomo che crede di combattere da solo contro il dolore cade nell'illusione e nella superbia, mentre la ginestra, l'umile “fiore del deserto”, simboleggia il coraggio e la resistenza contro un destino inevitabile e la sopportazione dignitosa del male che le" fu dato in sorte".

Rileggendo la vita di Giacomo Leopardi, o visitando i luoghi della casa dove è vissuto e si è formato, non si può fare a meno di pensare che la forza della vita sia stata fortemente radicata nel suo animo e che egli abbia cercato costantemente la felicità. Il giovinetto che si dedicava allo studio " matto e disperatissimo", non si precludeva di guardare fuori dalla finestra, accanto alla quale metteva il suo tavolino da studio per sfruttare il più possibile la luce del giorno. Fuori c' era la vita che fremeva e lui se ne sentiva parte e voleva sentirsene parte. Le sue meravigliose poesie rappresentano spaccati di vita quotidiana del borgo,che, pur nella loro semplicità, denotano la curiosità verso il mondo e la sua grande sensibilità. Sicuramente ammirevole è, poi, da adulto, il suo forte desiderio di lasciare "il natio borgo selvaggio", Recanati, perché lo avvertiva arretrato e ristretto, mentre sentiva la necessità di allargare i suoi orizzonti e realizzare le sue aspirazioni. Ed infatti da questa difficoltà, causata dagli ostacoli che gli poneva suo padre Monaldo con le sue idee grette e conservatrici, nasce la lirica più importante della sua opera: L'infinito.
Leopardi è riuscito a lasciare il suo borgo, a viaggiare e ad affermarsi nel campo letterario. Purtroppo le sue precarie condizioni di salute, che sempre lo hanno torturato, hanno determinato l’infrangersi dei suoi sogni con il sopraggiungere della morte prematura.

Il pessimismo leopardiano ci induce a riflettere sulla condizione umana, destinata al dolore e alla sopraffazione di forze ostili, ma come la ginestra, il “fiore del deserto”, siamo chiamati a sviluppare la nostra capacità di resistenza, con le radici ben piantate nel terreno e con il desiderio sempre vivo di far sbocciare i nostri fiori più belli e di emanare il profumo più soave.

Che cosa ci rimane del grande poeta?
Sicuramente l’armonia dei suoi versi che sgorgano da un cuore aperto ai paesaggi, ai suoni della campagna, alle atmosfere del paese, ai voli di uccelli, ai rumori notturni, alla sofferenza del genere umano .Attraverso i suoi famosi idilli (L’ infinito La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, Il passero solitario, A Silvia, Nerina) possiamo identificarci nei suoi affanni, ma anche nell’ infinita dolcezza che rappresenta l’ aspirazione di noi tutti alla felicità.

Dott.ssa Antonella Buonerba
Psicologa, Psicoanalista, Prof.ssa di Filosofia e Scienze Umane - Salerno (SA)


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Dott.ssa Antonella Buonerba Psicologa, Psicoanalista, Prof.ssa di Filosofia e Scienze Umane
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Iscritta all’Ordine degli psicologi della Campania n. 2635/A dal 25 maggio 2006
Laurea in Psicologia (indirizzo Psicologia clinica e di comunità)

 

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